I Profeti cosiddetti “minori” / Oracolo del Signore: di Pietrino Pischedda
I dodici Profeti “minori”, così chiamati non per inconsistenza di dottrina rispetto ai quattro maggiori ma per ampiezza degli stessi argomenti trattati in maniera sintetica. La brevità non pregiudica la profondità di ciascun profeta, il cui messaggio mira a diffondere efficacemente la Parola di Dio. Questi uomini, di umile estrazione sociale, operano con una disposizione d’animo di quiete, tranquillità e serenità, indispensabili per ricevere la rivelazione divina. Vestiti di sacco o di cilicio esortano le persone del loro tempo a vivere secondo la Legge. La profezia è opera divina: è la parola prevista e predetta da Dio, non dall’uomo. Tutti i Profeti, sia maggiori che minori, hanno per fine e scopo Cristo, nel quale si compie la piena e completa rivelazione del mistero salvifico di Dio.
PRESENTAZIONE
Mi corre l’obbligo, in primo luogo, di fare una premessa chiarificatrice riguardo al virgolettato “minori”, riportato nel titolo di questo mio studio, per fare una comparazione con i “maggiori”, quali sono Isaia, Geremia, Ezechiele e Daniele.
Perché mai questa distinzione di grado? Forse perché questi ultimi quattro hanno avuto maggiore rilevanza rispetto ai dodici che ci apprestiamo a leggere ed esaminare?
Una spiegazione si può ritenere plausibile se consideriamo l’ampiezza degli argomenti trattati e non la consistenza dottrinale, riguardo alla quale è fuori discussione ogni forma di giudizio. La brevità non pregiudica la profondità del pensiero di ciascun profeta, sia che si annoveri tra i maggiori che tra i minori. Tra di loro regna una perfetta armonia.
Secondo Wellhausen il vero profetismo israelitico inizia nell’VIII sec. a. C. con il profeta Amos. C’è da dire, comunque, che nella storia del profetismo si parla di un’istituzione profetica stabilita da Dio per trasmettere ininterrottamente a Israele la rivelazione.
Il nome “profeta” è la traslitterazione del greco προφήτης, derivante dal verbo φημί (= parlo) preceduto dalla preposizione προ, che qui significa “in luogo di”. Perciò “profeta” è colui che parla in nome di Dio. Profeta è colui che ha ricevuto una missione da Dio.
La visione intellettiva è la rivelazione immediata della verità divina all’intelletto del profeta senza il concorso di immagini sensibili (cfr. S. Tommaso, Summa Theol., II-II. q. 174. a. 2). Si ha ogni volta che il profeta usa la formula: “Il Signore dice così” (Am 1, 3), “Udite le parole di Jahvè” (Ger 10, 1), “Mi fu rivolta la parola di Jahvè” (Ger 2, 1).
I Profeti minori sono dodici. “Dodici” è un numero dal valore puramente simbolico, che non passa inosservato nella Sacra Scrittura, come anche i suoi multipli: dodici, infatti, sono i Patriarchi e dodici le tribù alle quali venivano inviati; dodici gli Apostoli della Nuova Alleanza.
Questi Profeti furono mandati a svolgere la loro missione alle dodici tribù, non sottacendo i nomi dei re, sotto i quali scrivono di aver predicato.
Alcuni svolsero la loro missione prima dell’esilio, nel regno settentrionale (Amos e Osea) oppure nel regno di Giuda (Michea, Sofonia, Abacuc, Naum); altri dopo l’esilio (Abdia, Aggeo, Zaccaria, Malachia, Giona).
Alcuni Profeti non specificano il tempo in cui profetizzarono, poiché le loro profezie sono generali e riguardano tutti i tempi; altri lo puntualizzano.
I dodici che andremo a esaminare abbondano in parabole, simboli, enigmi: evidentemente perché le loro profezie, a portata di tutti, non perdano il valore ma piene di sapienza arcana siano di stimolo all’interpretazione.
I Nostri sono uomini che operano con una disposizione d’animo di quiete, tranquillità e serenità, necessarie per mettersi in ascolto della rivelazione divina. Vestiti di sacco o di cilicio esortano gli uomini del loro tempo ad abbandonare le passioni terrene, a essere saggi secondo Dio, a conoscere le cose divine, a vivere per Dio, secondo Dio e con Dio.
I Profeti nei nomi propri degli uomini o delle città alludono ai loro significati: Os 1, 6 e 10, 5; Mi 1, 10 – 12; usano spesso la metonimia;
con l’impiego di ablativi, infinitivi, gerundi, uniti ai loro verbi, accrescono il loro significato, completano l’azione e insieme importano e indicano il modo con cui quella suole essere fatta ed eseguita.
Tutti i profeti, sia maggiori che minori, hanno per fine e scopo Cristo.
Ogni profezia, poiché è di natura soprannaturale, richiede nello stesso tempo un lume soprannaturale, chiamato profetico, il quale non è altro che la stessa illuminazione e rivelazione di Dio: la profezia è opera divina; è la parola prevista e predetta da Dio, non dall’uomo.
La profezia riguarda propriamente il futuro; per catacresi, tuttavia, si estende anche al passato e al presente.
Spesso sono usati la paragoge (epitesi), il climax (Os 2, 21; Am 1, 2) e i paradossi (Os 1, 2; 13, 14; Gn 2, 1; Mi 5, 2; Zc 5, 8; 9, 17).
Conta molto, per capire il senso genuino della Sacra Scrittura, la congiunzione, la disposizione, la sistole e la diastole dei capitoli, delle sentenze e delle sue parole (cfr. Ag 1) e l’eufemismo.
Non è infrequente in questi Profeti l’uso dell’espressione “in quel giorno”, per significare che alla fine dei tempi per ciascuno di noi il giudizio di Dio sarà imparziale e quindi dobbiamo adoperarci per fare opera di conversione.
L’interiezione “vae” (= “guai”) che incontriamo nella lettura di questi testi sacri non è mai un’espressione di condanna o di vendetta ma di avvertimento.
“Oracolo”: è la Parola di Dio vera, infallibile, che, una volta proferita, si compie sempre. Esso è il genere letterario tipico dei libri profetici e traduce in linguaggio umano ciò che Dio ha rivelato al profeta con una visione intellettiva. Generalmente è introdotto con la formula “Così dice Jahvè” e si chiude con “oracolo di Jahvè”. È sempre in forma diretta, perché manifesta una precisa volontà divina.
Nello scorrere queste pagine il Lettore troverà di tanto in tanto la nozione de “Il resto di Israele” e meditandoci sopra capirà che cosa significhi tale espressione.
Facendo mie le parole di S. Agostino, esorto il Lettore a far tesoro di quanto egli raccomanda:
“Quanto a noi, con la presente opera non intendiamo convertire l’infedele né maturarlo nella fede e nemmeno scuotere con la proposta di difficoltà salutari le capacità intellettive dell’iniziato alla ricerca. Ci rivolgiamo piuttosto a colui che, credendo già in Dio, vuole compiere meglio il suo divino volere. Costui esortiamo a specchiarsi in questo libro per constatare quanto cammino abbia fatto nella santità della vita e nelle opere buone e quanto invece gliene resta da percorrere.
Dr. Pietrino Pischedda